admin Paolo Bruno - Feb 19th, 2019

La domenica del pubblicano e del fariseo

Con la veglia notturna della domenica del pubblicano e del fariseo inizia il c.d. triodio ( triodion in greco, Постнаѧ Трїωдь, Postnaya Triod in slavonico). Tale periodo si conclude con la domenica di Pasqua ed esso prende il nome dal libro in cui sono racchiusi i testi liturgici essenzialmente penitenziali, nonché composti da canoni da tre odi e non già da nove, come il resto dell’anno. In tale periodo penitenziale, la santa Chiesa ortodossa, come madre e maestra di vita ci pone ogni domenica temi interessanti sui quali edificare il nostro cammino spirituale.
La prima domenica, come già detto, ha ad oggetto la parabola del pubblicano e del fariseo. Essa si trova unicamente nel Vangelo secondo Luca.
La preghiera è l’atto più importante nella vita del cristiano, in quanto lo pone al cospetto di Dio ed ove Egli ci consente di comunicare al di sopra di ogni nome, ruolo e contesto sociale in cui ci troviamo.
Infatti, non è un caso che il Signore nella parabola usa l’espressione “salire al tempio”, mediante essa si descrive una salita fisica ovvero di ingresso al tempio collocato su una collina, ma anche, come, salita spirituale a Dio. Il tempio di Gerusalemme fu edificato in un luogo al di sopra della città, in quanto il profeta e re Davide vide che sulla città di Gerusalemme c’era un angelo della morte con la spada sguainata pronto ad uccidere e su indicazione di Dio fu costruito il tempio nel quale è stato offerto un olocausto mediante il quale è cessata la strage sino a quel momento operata dall’angelo della morte.
Erano due uomini a salire al tempio, ovvero: un fariseo ed un pubblicano. Queste due figure si confrontano o, meglio, si contrappongono.
Bisogna premettere che la preghiera si distingue nella richiesta, perdono dei peccati e nel ringraziamento per ciò che si è ricevuto da Dio.
Il fariseo ritto al centro del tempio ringraziava Dio, dicendo così:<>.
Nel caso della parabola, solo apparentemente, il fariseo ringrazia il Signore, ma sta ringraziando se stesso ovvero si compiace dei suoi meriti nel non essere appunto ladro, ingiusto, adultero o pubblicano. Infatti il fariseo mediante un’applicazione burocratica della legge ebraica nel digiunare due volte a settimana e nel pagare la decima di ciò che possiede, ritiene di essere divenuto ciò che è. Il suo compiacimento, inoltre, è manifestato dalla posizione che lo stesso tiene nel tempio ovvero quella retta, cioè di colui che non teme giudizio.
In vero, le parole del fariseo erano dettate dalla sua superbia. Così evidenziando che in un’applicazione semplicemente burocratica della legge non si ottiene la salvezza, ma si rischia solo di ottenere il personale compiacimento.
L’ulteriore termine di contrapposizione è il pubblicano. Tale professione era malvista dal popolo ebraico, in quanto erano soggetti alle dipendenze dei romani e molto spesso i pubblicani si arricchivano illegalmente a scapito del popolo ebraico.
Il Signore ci dice che il pubblicano:<>. In questa condotta, si evidenzia come il pubblicano era ben conscio dei propri peccati e che a causa di essi si sentiva peccatore e, pertanto, distante da Dio ed inoltre, si vergognava a tal punto di essi che non riusciva ad alzare gli occhi verso Dio. Ma a differenza del fariseo che si compiaceva dei suoi risultati da se stesso ottenuti, il pubblicano implora la misericordia di Dio battendosi il petto ovvero umiliandosi dinanzi a Dio per il male commesso sino a quel momento.
Quindi, mediante, queste due figure il Signore contrappone la preghiera superba di colui che pensa di essere un giusto davanti a Dio e l’umiltà di colui che sa di aver commesso un peccato ed offeso Dio.
Il Signore chiude la contrapposizione tra queste due figure domandando chi tra i due è giustificato dai propri peccati. Indubbiamente il fariseo oppone la propria superbia a Dio, così condannando se stesso ad essere allontanato da Dio, in quanto come recita il salmista, Dio disprezza i superbi. Mentre il pubblicano riconosce i suoi debiti, ovvero i suoi peccati ed umiliandosi, chiede la remissione di essi per la sua salvezza e per poter convertire la propria esistenza ovvero ad un cambiamento radicale della propria vita, in quanto “Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore contrito e umiliato, Dio, tu non disprezzi.”(salmo 50,19)
Ebbene, il Signore conclude dicendo:<>.
Con tale dichiarazione, il Signore eleva l’umiltà come l’unica strada mediante la quale il cristiano può giungere alla salvezza, in quanto a differenza di quanto sosteneva il fariseo che grazie alla mera applicazione delle leggi lui riteneva di esser diventato un giusto. Essa è unicamente un premio donato da Dio, il quale premia lo sforzo profuso dal credente, in ogni caso, insufficiente a ricevere la vita eterna.